3 3 5 OTTANT’ANNI DOPO

“Perché non sia vano il fluire indifferente della Storia”

10 GIUGNO 1940

COMBATTENTI DI TERRA, DI MARE, DELL’ARIA. LA DICHIARAZIONE DI GUERRA È GIÀ STATA CONSEGNATA AGLI AMBASCIATORI DI GRAN BRETAGNA E DI FRANCIA. LA PAROLA D’ORDINE È UNA SOLA, CATEGORICA E IMPEGNATIVA PER TUTTI: VINCERE! E VINCEREMO.  

Roma entra in guerra con il motto vincere, urlato dal balcone di Palazzo Venezia da Benito Mussolini. I romani si riversano nei cinematografi per seguire dai Giornali Luce le battaglie e le imprese dei soldati italiani che in realtà camuffano un esercito mal equipaggiato e disorganizzato. L’illusione di una guerra rapida e vittoriosa dura poco. Iniziano a circolare le carte annonarie che servono per comprare olio, pasta, zucchero, patate, vestiti, farina. Per fare i dolci al posto della cioccolata si usa la farina di castagne e al posto del tè si beve il carcadè. Sui muri e sui giornali iniziano a comparire scritte per allertare la popolazione a non toccare i proiettili inesplosi. Gli antichi monumenti vengono murati per protezione, le statue smontate e collocate nei rifugi, sui prati antistanti i luoghi della fastosa Roma imperiale si coltivano prodotti ortofrutticoli negli “orti di guerra”. 

19 LUGLIO 1943

L’INDIGNAZIONE DI TUTTO IL MONDO CIVILE PER IL BARBARO BOMBARDAMENTO DELLA CITTÀ’ ETERNA.

Intorno alle dieci e quarantacinque suona la sirena antiaerea e quindici minuti dopo inizia l’inferno. Più di cinquecento bombardieri americani sganciano circa 4000 bombe provocando 3000 morti e più di 11mila feriti. San Lorenzo, Verano, Policlinico, Tiburtino. Papa Pio XII corre tra le macerie di San Lorenzo e conforta i cittadini con la veste bianca macchiata di sangue. Da quel giorno gli eventi precipitano vertiginosamente. 

25 LUGLIO 1943

Il ministro della Giustizia Dino Grandi, considerata la situazione bellica, presenta un ordine del giorno chiedendo le dimissioni di Mussolini per il modo in cui ha governato il Paese e ha trascinato l’Italia in una guerra disastrosa. Il re nomina Badoglio nuovo capo del governo e Mussolini è prelevato e trasferito nella caserma di via Legnano, dove viene arrestato. Ma la fine del fascismo non significa la fine della guerra. Roma ad agosto è bombardata di nuovo: Prenestino, Tuscolano, Tiburtino, Portonaccio, Porta Maggiore, Garbatella, Ostiense. La città è dichiarata città aperta per preservarla dai bombardamenti ma ciò non basta. Iniziano le trattative con gli Alleati condotte a Cassibile per un armistizio che prevede anche la collaborazione dell’Italia nella guerra contro i nazisti e i fascisti. 

8 SETTEMBRE 1943

L’ARMISTIZIO È STATO FIRMATO. NON PIÙ’ UN SOLDATO TEDESCO IN ITALIA.

È solo un’illusione. Le forze armate, prive di direttive precise, sono allo sbando. Il re e Badoglio abbandonano la capitale diretti a Pescara e da lì a Brindisi, sotto la protezione degli Alleati. Roma è totalmente accerchiata dai tedeschi comandati dal maresciallo Albert Kesselring. All’imperativo vincere ora si sostituisce quello di RESISTERE. Molti reparti dell’esercito, dei carabinieri e della polizia assieme a decine di volontari tentano invano, presso Porta San Paolo, di opporsi all’avanzata delle truppe tedesche. 

11 SETTEMBRE 1943

IL COMANDANTE IN CAPO TEDESCO DEL SUD ORDINA CHE IL TERRITORIO ITALIANO A LUI SOTTOPOSTO È DICHIARATO TERRITORIO DI GUERRA. IN ESSO SONO VALIDE LE LEGGI TEDESCHE DI GUERRA. 

Su tutti i muri della città si legge questa scritta e Roma passa sotto il rigido controllo dei tedeschi. Inizia l’occupazione nazifascista della città. Dopo quasi tre anni di guerra i romani vivono totalmente nella disperazione. Mancanza di generi alimentari, restrizioni annonarie in continuo aumento, diffusione della borsa nera che permetteva l’acquisto di pane, olio, farina, latte, uova a prezzi da strozzinaggio, mancanza di acqua potabile, imposizione del coprifuoco, paura per le incursioni aeree. A questo va aggiunto la ferocia dei fascisti e dei tedeschi della Gestapo comandati da Kappler. Il rastrellamento degli ebrei del ghetto ebraico, l’uccisione di alcune donne che protestavano davanti ad un forno a Tor di Quinto per la mancanza di pane, i calci e pugni ad altre donne che, davanti ad un forno a via Tosti, chiedevano al proprietario pane per i propri figli, la continua e incessante ricerca di persone, appartenenti al Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) e ai Gruppi di Azione Patriottica (GAP) da arrestare, rinchiudere e torturare nel carcere di via Tasso. La libertà richiede partecipazione. E così fu. Sin da subito ci furono attentati, sabotaggi, uccisioni di tedeschi e fascisti, lancio di ordigni, stampa di giornali sovversivi, passaggio di soldi e armi da una parte all’altra della città. 

23 MARZO 1944

Il 23 marzo fu un altro giorno di Resistenza, come tanti altri. Alle 15 di pomeriggio il piccolo Sergio Volponi è in casa con la famiglia a via del Boccaccio, a due passi da via Rasella. Il padre, Guido, è impiegato presso l’Avvocatura Generale di Stato e quel giorno per un po’ di influenza decide di rimanere a casa. All’improvviso si sente un boato enorme. Una colonna tedesca in transito a via Rasella è attaccata da un nucleo dei GAP, muoiono trentatré tedeschi. Da qui ha inizio la barbarie disumana nazista. Il piccolo Sergio, incuriosito dai rumori, all’improvviso vede dalla finestra arrivare camionette tedesche e fasciste e inizia a sentire le urla e i colpi di fucile sparati contro le finestre. Nel suo palazzo vivono altre quattro famiglie, quattordici persone e cinque bambini. I tedeschi entrano in ogni portone di via Rasella e zone limitrofe e, a forza, portano gli uomini per strada. Sergio con la famiglia scappa al piano superiore, sente bussare al portone e gridare in tedesco di aprire. Il padre lo stringe. I tedeschi riescono ad entrare. Prendono Guido e gli altri uomini presenti. “Quella è stata l’ultima volta che vidi mio padre”.  Perché li stanno prendendo? Cosa hanno fatto? Dove li portano?

25 MARZO 1944

NEL POMERIGGIO DEL 23 MARZO 1944, ELEMENTI CRIMINALI HANNO ESEGUITO UN ATTENTATO CON LANCIO DI BOMBA CONTRO UNA COLONNA TEDESCA DI POLIZIA IN TRANSITO PER VIA RASELLA. LA VILE IMBOSCATA FU ESEGUITA DA COMUNISTI BADOGLIANI. IL COMANDO TEDESCO, PERCIÒ, HA ORDINATO CHE PER OGNI TEDESCO AMMAZZATO DIECI CRIMINALI COMUNISTI-BADOGLIANI SARANNO FUCILATI. QUEST’ORDINE È GIÀ STATO ESEGUITO. 

L’ordine era già stato eseguito. Nessuno ha avuto la possibilità di consegnarsi e salvarli perché l’ordine era già stato eseguito. Non riuscirono a prenderli tutti dalle case, così fecero delle liste e li prelevarono dalle prigioni di via Tasso e Regina Coeli. 3 3 5 uomini. Preti, ebrei, militari, studenti, avvocati, operai, impiegati, contadini, falegnami, meccanici, carabinieri, tranvieri, pittori, professori, ingegneri, industriali, commercianti, medici, muratori, ragionieri, camerieri, autisti, macellai, geometri, ferrovieri. Diciassettenni, diciottenni, ventenni, trentenni, quarantenni, cinquantenni, sessantenni. Portati tutti sulla via Ardeatina, presso le cave. Tutti in fila. Uno alla volta li fecero entrare e li uccisero con un colpo di pistola alla nuca dopo averli fatti inginocchiare con le mani legate dietro la schiena. Così il primo, poi il secondo, che dovette salire sul corpo del primo, poi il terzo, costretto a salire sul corpo del primo e del secondo, poi il quarto, inginocchiato sul corpo del primo, del secondo e del terzo e così via fino ad arrivare a 3 3 5 . Un contadino che aveva dei campi lì vicino, un certo Nicola d’Annibale, sentì il primo sparo intorno alle 16 e 30. Gli spari durano per ore. E il giorno dopo i tedeschi pubblicarono quel comunicato, ma l’ordine era già stato eseguito. Erano già tutti morti. Tutti i 3 3 5 uomini erano già morti ammazzati, uno alla volta. Non fu una vendetta ma un addomesticamento della città. Non fu una punizione ma una strage civilizzata, burocratica e moderna. Non fu una rappresaglia contro un gruppo di partigiani colpevoli di aver fatto esplodere una bomba a via Rasella ma una FEROCE INUMANA BARBARIE. Servirono i vigili del fuoco per livellare il suolo e togliere le macerie create dai tedeschi per nascondere l’eccidio. Il medico Attilio Ascarelli si occupò dell’esumazione e identificazione dei cadaveri. Dopo l’estrazione le salme furono posizionate su delle barelle per essere ricomposte. All’appello mancavano 39 teste. Dopo un questionario dato alle famiglie, uno studio sugli oggetti personali e sul vestiario, riuscirono ad identificare 332 vittime. 

Subito dopo la liberazione di Roma il Viminale decise di voler erigere, proprio dove avvenne l’eccidio, un monumento a perenne ricordo dei martiri e di tutti i caduti della guerra di liberazione. Nel 1949 fu inaugurato il primo monumento dell’Italia Libera. Il padre del piccolo Sergio, ora diventato un uomo, un padre e un nonno,  riposa nel sacello numero 76 del Mausoleo delle Fosse Ardeatine insieme ad altri trecento trentaquattro compagni. Un Mausoleo che oggi rappresenta la storia di come la città, le istituzioni e le singole persone hanno provato ad elaborare il senso di questa morte di massa che allo stesso tempo è la morte assurda, violenta e crudele di    3 3 5 singole persone. 

A 80 anni da quel giorno, questo articolo è per voi.

QUI FUMMO TRUCIDATI VITTIME DI UN SACRIFICIO ORRENDO. DAL NOSTRO SACRIFICIO SORGA UNA PATRIA MIGLIORE E DURATURA PACE TRA I POPOLI. 

Di Chiara Civitarese

Immagine di copertina di Marco Bertinelli

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