Intervista con la strega

Maleficos non patieris vivere \ Non lascerai vivere colei che pratica la magia

Accade nel sonno: ci si sveglia di soprassalto nel cuore della notte con il fiato corto e i muscoli paralizzati. Mia nonna non aveva dubbi: è la Pantafica, una strega con gli occhi demoniaci e il muso a punta che blocca le braccia e le gambe del malcapitato coprendogli la bocca per non farlo respirare. Si aggira indisturbata nella notte ormai da secoli e, tra le tante cose, si diverte a fare le trecce con le criniere dei cavalli. Un incontro, il nostro, quasi per caso, dopo un’abbondante cena a base di arrosticini e vino rosso.

– Ma lei è…?

– Ebbene sì, sono proprio io.

– Non immagina le volte che mia nonna mi ha parlato di lei. Posso chiederle perché si fa chiamare Pantafica?

– Pantafica è un mutamento fonetico riconducibile all’espressione latina phantasma.

– Ah giusto. Sa che lei è una delle figure folkloristiche abruzzesi più famose?

– Se mi consenti, sono una figura spettrale, una strega. Ormai appartengo alla cultura popolare di questa e di molte altre regioni italiane e non solo. Ognuno mi chiama a modo suo ma le mie origini sono antichissime e risalgono alla civiltà assiro- babilonese, greca e romana.

– Quindi lei, in quanto strega, esiste da prima dell’avvento del cristianesimo?

– Eh sì. Pensa che nel codice di Hammurabi, una delle più antiche raccolte di leggi risalente al II millennio a.C., si parla di magia e del danno che streghe, maghi e stregoni possono arrecare alla società. Un altro esempio è Roma dove si è svolto uno dei primi processi ante litteram per stregoneria attestato da documenti. È Tito Livio, il più famoso storico romano, a raccontarci i fatti. Siamo nel IV secolo a.C., la città è colpita da una tremenda pestilenza e come sempre accade si cerca il capro espiatorio su cui scaricare il senso di colpa collettivo. Così una giovane ancella accusa un paio di matrone di aver preparato filtri magici e contaminato la città. Le donne sono condotte nel Foro e in totale le condanne a morte furono circa duecento.

– L’Inquisizione, soprattutto nei Paesi protestanti, ha poi notevolmente peggiorato le cose.

– In altri tempi la Chiesa non credeva al sabba, al volo delle streghe, ai poteri magici. Poi agli inizi del Quattrocento un teologo scrive un trattato, il Formicarius, nel quale sostiene l’esistenza della magia, dei malefici, delle streghe, degli stregoni, dell’adorazione del diavolo e dei convegni di streghe in presenza del demonio, il famoso sabba. Qualche anno più tardi papa Innocenzo VIII, per combattere il dilagante fenomeno della stregoneria soprattutto in Germania, affida pieni poteri a due frati domenicani e inquisitori i quali, forse fraintendendo gli ordini del pontefice, pubblicano il famosissimo Malleus Maleficarum.

– Il “Martello delle malefiche”. Il libro che racchiude tutti i peggiori pregiudizi della cultura cristiana sulla presunta inferiorità delle donne e sulla loro tendenza e inclinazione al peccato e al demonio.

– Un testo basato non solo su credenze ormai comuni ma anche su riferimenti faziosi ai testi sacri. Ogni pagina contiene delle dimostrazioni sull’esistenza della stregoneria; un’analisi su come combattere questo fenomeno crescente e, cosa assai pericolosa, il testo spiega il modus operandi dei giudici e degli inquisitori dall’arresto all’interrogatorio fino ad arrivare alla sentenza e al rogo.

– Il delitto di stregoneria è considerato quindi di natura diversa rispetto agli altri delitti?

– Essere accusate di stregoneria significava essere considerate apostate, eretiche, sacrileghe, bestemmiatrici, omicide, parricide. La strega spesso era incriminata di coito contro natura o di odio verso Dio. Pochissime tra le donne accusate erano realmente delle criminali, molte erano prostitute o semplici levatrici o guaritrici che sotto tortura confessarono la qualunque.

– Dunque una volta subìta l’accusa di stregoneria si era sempre colpevoli?

– Gli interrogatori con tortura non superavano quasi mai le tre volte, ma ti assicuro che bastavano per far confessare chiunque. Pinze arroventate schiaccia seni; unghie strappate e aghi conficcati nelle falangi; donne rinchiuse in dei sacchi e lasciate dondolare per giorni appese a degli alberi; corde che tiravano le estremità degli arti; la famosa sedia della strega rigorosamente costruita in ferro che veniva riscaldato; la pratica del dissanguamento lento; la pera vaginale che aveva il compito di purificare la parte del corpo accusata di essere stata a contatto con il demonio; il topo introdotto nel corpo della donna all’interno di un foro ricucito; la piramide di ferro su cui la presunta colpevole era fatta sedere in modo che la punta entrasse nel retto o nella vagina. Una volta ammessa la propria colpevolezza praticamente non c’era più speranza di salvezza.

– E chi riusciva a resistere alla prima tortura era considerata innocente?

– Assolutamente no. Qui entra in gioco il maleficio del silenzio, cioè la capacità di sopportare le torture attraverso le arti demoniache. Quindi chi confessava moriva, chi non confessava moriva lo stesso.

– Il fenomeno della stregoneria si diffuse in Europa, soprattutto in Germania, negli anni della Riforma protestante e della Guerra dei trent’anni e durò fino al XVIII secolo. Ma come si svolgevano questi processi?

–  Il sospetto è causato soprattutto dalla superstizione del volgo, che fortemente vuole il processo, o semplicemente dall’accusa di un pazzo. I prìncipi immediatamente ordinano ai giudici e ai consiglieri di iniziare la procedura processuale che consiste nell’indagare, insieme ai seguaci dell’inquisitore, sulla vita dell’accusata. Una volta arrestata anche lo spavento o la mancanza di paura possono essere considerati indizi di colpevolezza. Dopo il primo interrogatorio, senza avvocato trattandosi di un delitto eccezionale, si procede alla tortura. Se la donna confessa è colpevole e quindi condannata, se continua a discolparsi nonostante le pene inferte è considerata ostinata e portata di nuovo sotto tortura questa volta però dopo essere stata totalmente rasata. Se una donna muore durante il processo è comunque condannata perché accusata di essersi lasciata andare nelle braccia del demonio. In carcere le donne, tra una tortura e l’altra, ricevono le visite dei sacerdoti con il compito di tormentarle e farle confessare. La confessione ovviamente doveva contenere anche i nomi di altre colpevoli così da procedere ad un nuovo arresto, un nuovo processo, una nuova condanna, un nuovo rogo e così via.

– Così facendo quante donne sono morte?

– Durante la caccia alle streghe pare siano state condannate e bruciate al rogo dalle 40.000 alle 100.000 donne, senza considerare tutte quelle morte durante il processo. Donne innocenti accusate di un qualcosa che appartiene alla sfera delle superstizioni del popolo che cerca, da sempre, di dare spiegazioni magiche o demoniache agli avvenimenti della vita. Le credenze religiose poi hanno fatto il resto.

– Mi scusi ma lei…

– Non farti ingannare da quello che ti raccontava tua nonna. Io non sono nient’altro che un episodio di “paralisi ipnagogica” che si verifica quando, nel passaggio tra sonno e veglia, una persona conserva ancora le immagini oniriche e la paralisi muscolare tipiche della fase REM. Mi chiamano Pantafica ma sono un fenomeno scientifico riferito al sonno. Non serve catturarmi, processarmi e mettermi al rogo. E la prossima volta, la sera, mangia meno arrosticini!

Di Chiara Civitarese

Immagine di copertina di Marco Bertinelli

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