Gershom ALIAS Geronimo

“La libertà di stampa è garantita solo a coloro che ne possiedono una”

Mi chiamo Gershom ben Mosheh Soncino, figlio di Mosè, fondatore della famosa tipografia Soncino. Mio padre e mio nonno provengono da Spira, nel Palatinato, città culla del giudaismo medievale. La mia famiglia, fin dai primordi dell’invenzione e diffusione della stampa, è stata la più celebre famiglia di tipografi ebrei in Italia. Io, che non me ne vogliano i miei fratelli, sono decisamente il membro più illustre in quanto unico tipografo ebreo a stampare tra la fine del Quattrocento e i primi anni del Cinquecento e, per qualche secolo, il solo tipografo ebreo a riprodurre libri non ebraici. La mia originalità è stata proprio questa: pubblicare in contemporanea opere ebraiche, latine e volgari.
Vi starete domandando come mai non sono così famoso come il mio collega Aldo Manuzio, collega e nemico aggiungerei. Il motivo è che non potevo stampare testi in volgare o testi cristiani con un nome palesemente ebraico così ho deciso di cambiarlo in Geronimo. Peccato che ci sono voluti quattro secoli per scoprire che Gershom e Geronimo, in realtà, sono la stessa persona, cioè io. Così è venuto fuori, ahimè solo alla fine dell’Ottocento, che ho stampato quasi 150 opere, un record per quei tempi per qualsiasi tipografo, figuratevi se ebreo.
Ho iniziato la mia carriera nella città di Soncino, sotto il Ducato di Milano, ma sono stato costretto ad allontanarmi a causa di eventi politici sfavorevoli a noi ebrei e a trasferirmi a Brescia, dove sono rimasto per circa cinque anni. Lì ho stampato tante opere ma quella più importante è di certo l’edizione completa della Bibbia, oggi conservata a Berlino con il nome di Bibbia di Berlino appunto. Pensate che contiene delle note marginali scritte da Lutero in persona che la utilizzò per il lavoro di traduzione dell’Antico Testamento. Verso la fine del Quattrocento Bernardino da Feltre, quello che ha fondato i Monti di Pietà per sottrarre la gente dal debito di usura, inizia una serie di prediche antigiudaiche che portano all’espulsione e morte di molti ebrei. Così ho lasciato la città di Soncino e sono andato a Venezia dove ho incontrato lui, Aldo Manuzio, il più grande editore di tutti i tempi che nel corso di un ventennio ha pubblicato più di cento opere regalando alla città un primato assoluto nel campo editoriale. Non vi so dire di preciso quali sono state le difficoltà e le incomprensioni che hanno ostacolato la realizzazione del connubio lavorativo tra me e Aldo. Quello che so è che proprio durante il mio soggiorno veneziano è nato tra noi un sentimento di gelosia e rivalità che ha caratterizzato la mia intera vita lavorativa. Nonostante ciò, l’esempio di Aldo Manuzio è stato fondamentale per me soprattutto per l’attenzione agli aspetti tecnico – grafici e per la consuetudine a circondarsi di un gruppo di uomini di lettere che nutrissero, con i loro stimoli, le loro opere, e anche con la loro produzione, il catalogo del tipografo.
Nel 1501 ho deciso di lasciare Venezia e intraprendere nuove avventure. Questa mia seconda fase editoriale e imprenditoriale è durata circa venticinque anni ed è stata anche la più proficua e significativa in quanto contrassegnata dalla scelta di stampare sia libri ebraici sia edizioni in caratteri latini e volgari. In seguito alla parentesi veneziana sono arrivato a Fano, appartato e tranquillo luogo della Marca. La scelta di questa città, allora piccola e povera perché vi potesse prosperare un’azienda tipografica, è dipesa dalla sua posizione centrale favorevole agli scambi per terra e per mare soprattutto verso Levante, dove avrei venduto meglio le stampe in ebraico. Ma devo ammetterlo, più di ogni altra cosa mi ha convinto la presenza dell’illustre umanista Lorenzo Astemio. I contatti con gli umanisti del posto sono importantissimi perché facilitano la concessione di condotte grazie alle quali noi ebrei possiamo soggiornare e lavorare con relativa tranquillità in diverse città della costa adriatica. Lorenzo mi ha persuaso a dedicarmi alla pubblicazione di libri latini, volgari e di contenuto cattolico. Fu proprio durante il mio primo soggiorno fanese che, seguendo l’esempio dei miei correligionari, ho deciso di adottare un altro nome per sottoscrivere i libri latini e italiani non rinunciando al mio nelle stampe di quelli ebraici. L’allontanamento dell’umanista da Fano però fu seguito a breve distanza anche dal mio, non potendo più godere della sua protezione. Così ho aperto una tipografia a Pesaro, città del rifugio e della pace, ma sono stato costretto ad andare via a causa dei tumulti e delle agitazioni avvenuti in seguito alla concessione del ducato da parte del Papa a Francesco Maria I della Rovere. Così mi sono trasferito ad Ancona ma non sono riuscito a lavorare come avrei voluto perché la città, compresa nei domini papali, era oggetto di una dura politica antiebraica. Posso stampare con un nome diverso ma resto sempre un giudeo così sono stato costretto a spostarmi di nuovo. La presenza dell’umanista e studioso di antichità Oliviero da Lanciano, la prossimità di colonie ebraiche, che sicuramente rappresentano un ottimo mercato, la tranquillità del luogo rispetto agli interventi censori della chiesa romana, la presenza del porto, che consentiva facili collegamenti anche con l’altra sponda dell’Adriatico e la vicinanza della città di Lanciano, con le sue famose e rinomate fiere, sono state le ragioni che mi hanno portato ad aprire, nel 1518, una tipografia a Ortona a Mare, negli Abruzzi. In quel paesino abruzzese ho trovato di certo serenità, sicurezza e pace per poter esercitare la mia arte ma purtroppo questi elementi non sono sufficienti alla prosperità e floridezza dei commerci. Così, dopo aver ottenuto l’autorizzazione dal consiglio comunale, ho aperto una tipografia a Rimini, città piena di letterati. A causa di una serie di circostanze sfortunate è mancato l’accordo tra la mia tipografia e gli umanisti locali tant’è vero che ho stampato in prevalenza opere ebraiche che richiedevano gravezze finanziarie e disponibilità notevole di tempo.
Proprio durante il soggiorno in Romagna, e vista la prorompente ascesa di Daniel Bomberg, che diventerà il più grande tipografo di libri in ebraico, ho iniziato a meditare l’idea di tentare una nuova impresa editoriale. Dopo trent’anni di fedele e operoso lavoro, nel 1527 ho deciso di lasciare l’Italia e di raggiungere Salonicco, dove già operava mio figlio. La mia ultima opera stampata è stata il Mispar di Elia Orientale, nel marzo 1534. Dopo pochi mesi io, Gershom ben Mosheh Soncino, uomo modesto e infaticabile, cessai di vivere, lasciando per unica eredità alla famiglia un nome chiaro e illustre. I miei tre figli, Moseh, Elezier e Giosuè, hanno continuato l’arte paterna stampando sia a Salonicco sia a Costantinopoli. L’ultimo tipografo appartenente alla nostra prestigiosa famiglia sarà Gersom ben Elezier, che chiuderà l’esperienza di quattro generazioni al Cairo nel 1557.

Fra i libri antichi, quelli stampati dai discendenti dei da Spira sono stati, e sono, i più ricercati dai collezionisti pubblici e privati. Una loro approfondita analisi ha permesso, seppur a grandi linee, di ricostruire il profilo di Gershom su una molteplicità di piani: oltre che sulla sua vicenda umana siamo informati, ad esempio, sui suoi rapporti professionali e intellettuali e sul contesto politico e religioso del tempo.
Grazie alle dedicatorie delle opere prodotte soprattutto nelle città adriatiche conosciamo personaggi ai quali era legato da vincoli di amicizia e riconoscenza. Giunto a Fano, ad esempio, nell’apice della signoria di Cesare Borgia, decise di dedicare a lui le “Opere volgari” di Francesco Petrarca. Dopo la rapida caduta del Borgia il tipografo si orientò, a tutela della propria attività, sulla prestigiosa casata dei duchi di Urbino e in particolare a Elisabetta Gonzaga. Trasferitosi a Pesaro, Gershom non esitò a dedicare una nuova edizione di poesie a Ginevra Tiepolo, moglie di Giovanni Sforza d’Aragona, signore della città. La consuetudine di cambiare il destinatario di un’opera al mutare del contesto politico e geografico dell’attività di Soncino si riscontra ancora una volta nel soggiorno a Ortona a Mare. Il De re militari, dedicato a Giovanni Sforza, è ora destinato al duca Ludovico di Montorio perché accordi la sua protezione al progetto di Soncino di trapiantare la propria attività nel Regno di Napoli.
L’analisi delle stampe in volgare rappresenta anche lo specchio di una società che di lì a poco avrebbe completamente cambiato modus operandi. Infatti, in periodo controriformistico, sarebbe stato vietato a un tipografo ebreo di stampare opere di papi, regole monacali o addirittura “La passione del nostro signor Iesu Christo”. La decisione di Soncino di stampare questi testi, oltre che mossa dal guadagno certo che ne scaturiva, rivela che la società nella quale si trovò a operare era ancora libera dalle implicazioni cui avrebbe condotto la futura Controriforma.
Quella delle stampe in caratteri non ebraici rappresenta, dunque, una caratteristica dell’attività di Girolamo Soncino che offre diversi spunti di riflessione. Questo perché le opere in volgare, fino ad ora trascurate, forniscono ulteriori elementi per comprendere la vita e il modo di lavorare del più illustre tipografo ebreo vissuto a cavallo tra il XV e il XVI secolo.

Di Chiara Civitarese

Immagine di copertina di Marco Bertinelli

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