La Compagnia del Novenove

“Il sipario si apre signori spettatori, che suonino i musicisti e parlino gli attori”

Settembre 2017

– Oh, stavo pensando parlando con Carlo. Noi abbiamo un teatro giusto?
– Giusto.
– Allora perché non lo facciamo noi uno spettacolo?
– In che senso?

Tre anni dopo….

Teatro, Storia, Musica, Immagini.

Amici, Risate, Mangiate, Bevute. 

– Salve.

– Salve a lei.

– La osservo da un po’. Scrive, cancella, riscrive. È una scrittrice?

– No, sono una storica. Però si, devo scrivere un articolo.

– Un articolo storico?

– No, un articolo su degli spettacoli a teatro che abbiamo fatto tempo fa.

– E come mai il foglio è bianco? Non sa da dove iniziare?

– No, non so come iniziare.

– Posso?

– Prego. 

– Quindi è una storica che ha un teatro.

– Non proprio. Gestiamo uno spazio presso il teatro Ygramul. Io, Marco e Lucia. Novenoveposti si chiama. E in questo teatro abbiamo messo su degli spettacoli storici. 

– Avete approfittato dello spazio a teatro per raccontare la Storia. Bell’idea.

– In realtà l’idea è venuta a un mio amico, Carlo. Ci siamo conosciuti all’università ormai quindici anni fa. È anche il vicepresidente della mia associazione, e ho detto tutto. Oltre che la storia ha anche la passione per la musica. Così un giorno, dopo aver visto lo spazio a teatro, mi fa: “Ma perché non raccontiamo un po’ di storia con della bella musica dal vivo?”.  L’idea non era male, anzi. “Sarebbe divertente ma, chi suona? Cioè, a parte te, chi suona? “. “Perché io non ti basto?”. “Con rispetto vicepresidè, non sei mica Tony Banks”. “Potrei chiedere lì a scuola dove vado. Che ci mettiamo a mettere su un gruppetto“. 

– E l’avete messo su questo gruppetto?

– Carlo, con la sua tastiera, ha chiamato a raccolta Walter, chitarra elettrica, Marcello, fisarmonica e organetto e Tatiana, voce, chitarra e piano. Gli strumenti c’erano, i musicisti anche. Mancava una storia. All’inizio Carlo mi ha proposto la Prima Guerra mondiale, aveva alcuni spartiti di canzoni di quel periodo. Ma non ero convinta. Sono esperta di storia ebraica e mi andava di parlare delle cose che sapevo, così ho deciso di raccontare la Seconda Guerra mondiale. Ho scelto alcune canzoni e loro hanno iniziato ad arrangiarle e provarle tutti insieme. Una volta a teatro, un’altra a casa di uno, un’altra ancora a casa dell’altro. Ogni volta concludevamo la serata con pizza, pasta al forno, tramezzini e tanto vino. Quanto vino abbiamo bevuto non puoi immaginare. E quanto abbiamo riso. E così ci siamo conosciuti, ognuno con le sue peculiarità e abbiamo iniziato a volerci bene. Il giovedì e il sabato erano diventati i giorni delle prove. Tra impegni da rimandare e corse dopo il lavoro per arrivare in tempo abbiamo provato e riprovato per tanti mesi. 

– Quindi avete raccontato la Seconda Guerra mondiale?

– Non proprio. Siamo partiti da questa idea ma poi le cose sono andate in crescendo. La Storia ha iniziato a prendere forma, in maniera sempre più dettagliata. Ho creato il personaggio principale, una ragazza abruzzese giunta a Roma negli anni Venti. Praticamente io quarant’anni prima. Marco ha creato la scenografia, una locanda nel cuore di Roma. Creata nel vero senso della parola. L’ha pensata e dipinta. Io lo aiutavo. Reggevo il trapano e gli preparavo gli spritz. Marco e Lucia sono andati addirittura ad un mercatino dell’antiquariato a comprare una macchina da scrivere degli anni Trenta. Non immagini quanto pesava quell’aggeggio. Lucia ha iniziato a lavorare alle immagini da proiettare. Mica un lavoretto. Selezionare le immagini, montarle, capire le tempistiche dei brani. I musicisti pian piano hanno iniziato a divertirsi con i brani e a renderli propri. Chi si inventava un assolo, chi aggiungeva strumenti. Hanno fatto un lavoro eccezionale se consideri che i brani sono stati praticamente imposti. Servivano quelli per la Storia che stavo scrivendo.

– Un gran bel lavoro a sentirlo.

– A farlo anche di più. Più provavamo e più ci venivano idee da inserire. Passare mesi e mesi in un teatro a ragionare su uno spettacolo ti porta a capirlo il teatro. Marco ha iniziato a giocherellare con le luci per dare il giusto risalto ai momenti del racconto e piano piano ci ha preso gusto. Mi ricordo il giorno dello spettacolo, poche ore prima di andare in scena, sono saltate due luci. L’unica cosa che mi sono azzardata a dirgli è stata: “Vuoi uno spritz?”

– Spero abbiate risolto?

– Si anche grazie a Vania Castelfranchi, il proprietario del teatro (Dovrò ricordarmi di ringraziarlo. È stato un faro di positività incredibile). Siamo riusciti a risolvere sempre tutto. La collocazione del proiettore, la sistemazione dei musicisti sul palco tenendo conto sia delle necessità di copione sia delle esigenze tecniche, il reperimento dei cavi, delle prolunghe e degli spinotti che servivano a loro per suonare. Una sera Tatiana, Lucia e Walter sono stati ore a spostare le casse e sistemare i fili per far sì che l’acustica fosse perfetta senza rovinare la scenografia.  Io ero la manovalanza. Non capisco nulla di queste cose. Ogni volta che chiedevano un jack andavo diretta al frigo a prendere la coca-cola. Non volevano un jack e cola. Era evidente. E nel frastuono decisionale più totale, frastuono che è diventato caos le settimane prima del debutto, echeggiava random la voce di Walter: “Marisooooool”

– E quando avete debuttato?

– Il 25 aprile del 2018. Tutto esaurito. Non potevamo scegliere data migliore per raccontare la nostra Storia. La storia di una giovane partigiana venuta dall’Abruzzo che ha vissuto le parate fasciste, ha sentito e visto le bombe degli alleati, ha assistito al rastrellamento dei suoi amici ebrei e alla cattura dei suoi compagni morti alle Fosse Ardeatine. E ad accompagnarla in questo racconto c’erano i suoi amici della locanda che quella storia l’hanno suonata e cantata. Faccetta nera, l’inno nazionalsocialista, Lili Marlene, Flatbush (proposta da Marcello, pezzo strepitoso), Generale, Fischia il vento, Bella Ciao, La guerra di Piero… Marco accendeva le luci su di me mentre raccontavo e le abbassava durante i pezzi per far vedere i musicisti e le immagini di quello che stavamo raccontando. (Abbassare ed alzare le luci mi sembra riduttivo. Avevamo un copione solo per le luci. Una sera siamo stati fino alle due a provare e riprovare per dare il giusto risalto emozionale al racconto).  

– E com’è andata?

– Eh, è questo il problema. 

– Non è andata bene?

– No, tutt’altro. Lo ammetto, io ero terrorizzata. Scrivere qualcosa e metterlo in scena, non avevo idea della reazione del pubblico. Prima di far accomodare le persone ci siamo messi in cerchio, guardati e “MERDA, MERDA, MERDA”. Lucia ci ha presentati e via…Abbiamo iniziato.

– Non ho capito, se è andata bene qual è il problema.

“E per questo noi tutti vi auguriamo, oggi e sempre, un buon 25 aprile” inchino e parte la canzone finale Bella Ciao. Così finisce lo spettacolo. E, finita la canzone e accese le luci, erano tutti in piedi. Dopo due ore erano tutti in piedi a battere le mani e gridare i nostri nomi. Ho incrociato lo sguardo degli altri e vedevo solo occhi lucidi. È questo il problema, come faccio a scrivere quella sensazione, come faccio a sintetizzare in poche pagine mesi di risate, lavoro, creazioni, nottate, paure, scoperte, incomprensioni, arrabbiature e emozioni. Impossibile. La mattina dopo ci siamo svegliati e resi conto di avere dato il via a una BELLA STORIA. 

– E vi siete fermati a quel racconto?

– Macché. Tutti eravamo nostalgici delle occhiaie, delle nottate, delle prove, dell’adrenalina, del pubblico, del vino anche. Così ho chiamato tutti a raccolta e: ”Amici, siamo arrivati al 25 aprile del 1945. Che dite? Raccontiamo anche il seguito? Per farla breve, come si dice a Roma, tra nuovi arrivi, abbandoni, infortuni, ritorni abbiamo dato il via a un’altra BELLA STORIA. 

– E cosa avete raccontato?

– Ricordo ancora il momento in cui mi è venuta in mente la trama. Eravamo partiti per un fine settimana io, Marco e Lucia. “Chià, ti sei portata qualcosa per prendere appunti nel caso ti venisse qualche buona idea?”. “Non credo sia necessario Lucì, è così raro che mi venga una buona idea”. E invece, il due novembre, giorno dell’anniversario della morte di Pasolini, era tutto chiaro. Dovevo semplicemente continuare a raccontare i fatti di quella giovane ragazza, arrivata a Roma negli anni Venti, e diventata professoressa universitaria nella Roma degli anni Settanta. E via. Siamo ripartiti a lavorare e provare. Lucia con il montaggio delle immagini e il copione. (Eh sì, questa volta c’erano anche le comparse, i miei finti alunni. Lucia, Francesca, Luigi e Fabio). Marco ha creato una nuova scenografia: un’aula universitaria con tanto di lavagna fatta da lui. I musicisti hanno iniziato a provare e arrangiare i brani: La luna, C’era un ragazzo, La leva calcistica del ‘68, La musica ribelle, Una storia sbagliata, La libertà…  E il 15 marzo 2019 abbiamo debuttato. Tutto esaurito. Per ben quattro volte. 

– Avete fatto una grande cosa.

– Si, decisamente si. Abbiamo raccontato e suonato una Storia.  Ma abbiamo anche creato dei ricordi…I nostri ricordi…La nostra Storia. 

– E ora che fate?

– Aspettiamo di smettere di ricordare per tornare, tutti insieme, a raccontare e a suonare.

– Bene, allora  io vado così finisce di  scrivere il suo articolo.

– Grazie ma, una domanda. Lei chi è?

NON DISTURBARTI, RESTA SULLA SEDIA

MI PRESENTO: SONO LA COMMEDIA.

CHE SQUILLINO LE TROMBE SIGNORI SPETTATORI

CHE SUONINO I MUSICISTI E PARLINO GLI ATTORI

Di Chiara Civitarese

Dedicato ai membri della Compagnia del Novenove. Grazie per averci creduto insieme a me: 

Carlo Brunori

Lucia Mazzanti

Marcello Piccioni

Marco Bertinelli

Tatiana Manca

Walter Marti

Ps: io sto scrivendo il nuovo spettacolo, che dite? La facciamo continuare questa BELLA STORIA?

Di Chiara Civitarese

Immagine di copertina di Marco Bertinelli

Scopri tutte le attività