AUGURI ROMA

“Chi è nato a Roma la ama, ma chi non ci è nato e l’ha incontrata, come nel mio caso, la ama ancor di più.”

TEVERE: Ce staveno solo sti quattro pecorari che s’aggiravano tra il Palatino e l’Esquilino, dal latino Esculus che vuol dire rovere, per via che al posto de Santa Maria Maggiore, ce stava un bosco de querce che, forse, era pure mejo. Qui tra il Palatino e l’Aventino se stendeva la palude del Velabro, dove oggi c’è l’anagrafe. Qui c’era un ponte de legno detto Sublicio…Qui sulla riva der fiume si fermò Ercole a riposare colle sue mandrie… un gigante, di nome Caco, che era er terrore del Palatino, je rubò le vacche e allora Ercole lo ammazzò e i pecorari riconoscenti gli dedicarono un culto per cui ancora oggi c’è via dell’Ara Massima di Ercole… angolo via da Greca… davanti ar semaforo. 

(Arriva Enea sulla barca)

ENEA: So arrivato… portato dar fato. Tu nun sai quer ch’ho patito tutto quello ch’ho passato pe’ dà loco a sti penati che da Troia ho riportati. 

GIANO: Alla morte di Enea…

ENEA: Aho, ma nun so’ manco arivato che già so’ morto?

GIANO: Enea tu sei solo un preambolo, il tempo vola non si può perderne la nozione.

ENEA: Vabbè, nun dico la guerra contro Turno, ma… in omaggio alla mia signora, famme armeno… nun so’… fondà Lavinio.

GIANO: E passò il figlio di Enea, Ascanio, che salito sui Colli Albani aveva fondato una città chiamata Albalonga perché, urbanisticamente, sviluppava in lunghezza. Ma saranno gli uomini della generazione di Numitore, padre di Rea Silvia, fratello dell’usurpatore Amulio, quelli che vedranno sorgere la città quadrata. 

E con questa genitura \ Rea Silvia la vestale \ ha rotto la clausura \ del voto verginale. \ Semmai fu l’incontrario \ lei non ha rotto niente \ è Marte er temerario \ la vergine è innocente. \Che in una notte scura \ ce scappa l’avventura, \ nel tempio sacro a Vesta, Marte je fa la festa. \Eccoli li lupi belli der fico ruminale \ eccoli e l’uno all’altro è proprio tale e quale. \ Eccoli i due gemelli fermati qua \eccoli i fondatori della città. \ Ma Amulio nun se spiega \sta nascita fatata \ per cui dice alla monaca “c’hai fatto sciagurata”. \ Quella additando i figli \ è un dio che m’ha stuprata \ de che te meravigli se ho fatto sta nidiata. \Ma per dover di cronaca \va dato per scontato \ che a violentà la monaca \ Marte obbediva al fato. \Eccoli i du fratelli sdraiati qua. \ Eccoli li fondatori de la città. \ Ma Amulio, spaventato pe’ via che dopo quelli \ avrebbero preteso er trono spodestato, \ li mette dentro a un cesto, \ li manda pe’ corente. \ Ma tutti sanno er resto, nun serve di più niente. 

GIANO: Perché piangi?

ROMOLO: Ho ammazzato mi fratello.

GIANO: Romolo, il fondatore!

ROMOLO: Abitavamo in fonno a sta palude, io co mi madre e mi fratello Remo.

GIANO: Ma che è… il monologo del fattaccio?

ROMOLO: Embè! Poi Remo se cambiò, se fece amico de li più peggio bulli, e quanno a mamma je pijava la malattia del lupo, io solo je corevo appresso; mamma ‘nvecchiava! Cor tempo se spelacchiava tutta, nun s’areggeva più su le zampe: io cor fiatone, dicevo a mi fratello: “A Re’, a Re’, qui coro solo io, pensace pure te a trottà appresso a mamma tua, no!” E mentre la lupa moriva e piano piano ripiava la figura umana, de persona, ce svelava così er segreto de la nascita… basta! Marciamo su Albalonga, ammazzamo Amulio e rimettemo nonno Numitore sul trono. Nonno ce fa: “Regazzi, io sono vecchio, pensatece voi a fa li re, che siete de nascita reale e de stirpe divina”. Remo je fece na risata ‘n faccia… pure a nonno; ma io un’ideuccia ce l’avevo già! Dico: “A Re, fondamo na città pe’ conto nostro, così da nomadi e pecorari che semo, se straformamo in stanziali e contadini, ‘nzomma dico, famo un sarto de qualità, no?” Remo me fece na risata ‘n faccia! E voi adesso me chiedete come io posso esse arivato a tanto, come la mano mia, che è stata avvezza a maneggià la lima cor martello, co tanto sangue freddo e sicurezza, abbia spaccato er core a mi fratello. Basta! M’attacco l’aratro ar collo e traccio er sorco de la città quadrata; me faccio na sudata che manco na bestia, per un perimetro de mille e cinquecento metri, mentre dall’altra parte Remo me guarda, e nun fa niente, manco un sorriso stavolta. Poi, quanno ho finito, tira fori er cortello e zompa er fosso, mi buttai come na iena addosso e j’agguantai la mano, je strappai er cortello poi viddi tutto rosso e giù menai… menai… menai… 

GIANO: Il tuo non è un delitto, Remo saltando il solco che è sacro, ha commesso un’empietà, un atto blasfemo e tu con una cortellata hai riparato al danno.

ROMOLO: Ch’ho fatto io!

GIANO: Un atto sacerdotale, con il quale hai ristabilito l’equilibrio turbato tra gli uomini e gli dèi.

ROMOLO: Ho ammazzato mi fratello!

GIANO: Si, ma non conta, non vale… Andiamo Romolo, stai allegro, oggi è una bellissima giornata.

ROMOLO: Eh!

GIANO: E stando alla tradizione dovrebbe essere il 21 aprile del 753 a.C.

Gigi Proietti, nello spettacolo “I sette Re di Roma”, racconta così la fondazione della città. 2777 anni di Storia, di eventi, di personaggi, di arte, di archeologia, di leggende, di miti, di tradizioni. Il 21 aprile non solo si ricorda la nascita leggendaria di una città, ma si festeggia la città stessa: Roma. Una città che ha un privilegio rispetto a tutte le altre città del mondo, quello di essere un riassunto di storia, di storia dell’arte, di archeologia. “Roma non è una città come le altre. È un grande museo, un salotto da attraversare in punta di piedi” diceva Alberto Sordi. E come dargli torto. Il Foro, il Colosseo, il Pantheon, l’Ara Pacis, il Teatro Marcello. “Si trovano a Roma vestigia di una magnificenza e di uno sfacelo tali, che superano l’una e l’altro, la nostra immaginazione”. E poi San Pietro, il Cupolone, le innumerevoli chiese che racchiudono opere di artisti straordinari che a Roma sono diventati dei giganti. Già, proprio qui, nella città “degli artisti e dei poeti, qualunque cosa pur de non morì. Semo puri, sinceri e cristallini, semo romani, ce voi così”.  E i parchi, gli acquedotti, le ville, le borgate, “i quartieri sconosciuti e inconoscibili” raccontati da Pasolini nei suoi film e nei suoi libri. Uno spettacolo che non ha bisogno di intervalli, una frazione di eternità. “Quando si considera un’esistenza come quella di Roma, vecchia di 2777 anni, e si pensa che è pur sempre lo stesso suolo, lo stesso colle, sovente perfino le stesse colonne e mura, e si scorgono nel popolo tracce dell’antico carattere, ci si sente compenetrati dei grandi decreti del destino”. A Roma, città consacrata dai millenni, quello che c’è stato convive con quello che c’è e con quel che ci sarà. “L’alto e il basso, il vecchio e il nuovo, la religione e l’empietà, il fasto e la miseria, persino Dio e il Diavolo sembrano aver trovato un equilibrio stabile e duraturo in questa città, dove tutto è già accaduto, e mica una sola volta! Mille volte”. Roma è la capitale del mondo e Goethe diceva di “essere nato una seconda volta, d’essere davvero risorto, il giorno in cui ha messo piede a Roma. Le sue bellezze l’hanno sollevato poco a poco fino alla loro altezza”.

Arrivare a Roma per me è stato un traguardo. Raccontarla e ammirarla ogni giorno è un sogno. Tutto è come immaginavo e tutto è ogni volta una scoperta. “Che bello respirarti. Difenderti, servirti. E ringraziamo il cielo che ci sei, che ancora sai stupirci. Sei fragile ed eterna, sei umile e superba. Con tutti i figli generosa sei, identica passione. Dimme che nun te sei rassegnata, sono certo, tornerai fiera. Senza te, che vita è? Non sarebbe mondo senza te. Roma. Non avrei potuto vedere mai nulla maggiore di Roma, come un libro aperto ad ogni pagina che si legge d’un fiato. Il 21 aprile si ricorda l’inizio di una Storia che non posso fare a meno di raccontare; il 21 aprile si festeggia l’inizio di un capolavoro.

Tanti AUGURI ROMA, da me e dall’associazione Ars Editour. 

Di Chiara Civitarese

Immagine di copertina di Marco Bertinelli

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