O ROMA O MORTE !

“Ho detto e affermo ancora una volta che Roma, Roma sola deve essere la capitale d’Italia”

L’annessione di Roma e il trasferimento della capitale da Firenze rappresentano un punto di svolta del Risorgimento italiano. Cavour, nel suo discorso davanti al primo Parlamento italiano, disse:

“La scelta della capitale è determinata da grandi ragioni morali. È il sentimento dei popoli quello che decide le questioni ad essa relative. Ora, o signori, in Roma concorrono tutte le circostanze storiche, intellettuali, morali, che devono determinare le condizioni della capitale di un grande Stato. Tutta la storia di Roma dal tempo dei Cesari al giorno d’oggi è la storia di una città la cui importanza si estende infinitamente al di là del suo territorio, di una città, cioè, destinata ad essere la capitale di un grande Stato[…]. Convinto di questa verità io mi credo in obbligo di proclamarlo nel modo più solenne davanti a voi: la necessità di avere Roma per capitale è riconosciuta e proclamata dall’intera Nazione.[…] Ho detto, o signori, e affermo ancora una volta che Roma, Roma sola deve essere la capitale d’Italia” (27 marzo 1861)

Tuttavia, nel 1861, non era per nulla vicina la possibilità di trasferire la capitale a Roma. Questo passaggio, cruciale per la storia del nostro Paese, è stato scandito da divisioni, eroismi, sacrifici, imprese leggendarie, decisioni politiche e battaglie. Un percorso lungo anni caratterizzato da un solo grido: O ROMA O MORTE. 

1864

Lo Stato Pontificio, il cui monarca assoluto (il Papa) vive proprio a Roma, gode in questi anni della protezione della Francia. Sostegno rafforzato da un accordo stipulato a settembre tra il Regno d’Italia e l’impero francese di Napoleone III (Convenzione di settembre) secondo il quale la Francia avrebbe dovuto ritirare le sue truppe in cambio dell’impegno italiano a non invadere lo Stato Pontificio e conseguentemente annettere la città al Regno. Una clausola di questa intesa prevede anche il trasferimento della capitale da Torino a Firenze sia per avviare quel processo di “spiemontizzazione” del Regno sia per rassicurare circa la scelta definitiva della capitale. Fatto sta che LA VIA PER ROMA SI È ACCORCIATA.

Il Papa, uomo di fede ma anche di politica, risponde tempestivamente con l’enciclica Quanta cura con all’interno un elenco (Syllabus) degli errori moderni, dal liberalismo al socialismo; dalla Rivoluzione francese al Risorgimento italiano. 

1867

A sei anni dall’unificazione e a un anno dall’annessione del Veneto rimane aperta, come una ferita patriottica e morale, la “questione romana”. L’obiettivo dell’annessione di Roma continua ad essere assai popolare e il governo non ha rinunciato a fare di Roma la capitale del Regno. Garibaldi è particolarmente impegnato sulla questione e organizza un esercito di volontari. A circa 23 chilometri da Roma, nella città di Mentana, 9000 soldati tra francesi e papalini si scontrano contro 4000 garibaldini. I primi sono bene armati, equipaggiati e sicuri della vittoria. I secondi stanchi dalla lunga marcia, sfiduciati e con a disposizione vecchi fucili e due soli cannoni. Fu una vera e propria carneficina e per le truppe pontificie un vero trionfo. Si conclude così l’ultima impresa delle camicie rosse garibaldine. 

Firenze, 20 agosto 1870

Nell’imponente Salone dei Cinquecento, a Palazzo Vecchio, i parlamentari discutono circa l’annessione di Roma al Regno d’Italia. Questa volta gli eventi sembrerebbero offrire un’occasione storica per andare a prendersi la città. Da circa un mese, infatti, è scoppiato un conflitto che vede contrapporsi da un lato la Francia di Napoleone III e dall’altro la Prussia (regione storica della Germania) di Bismarck, chiamato il “cancelliere di ferro”. Una guerra che potrebbe sconvolgere tutti gli equilibri europei e strappare a Parigi l’egemonia sul continente. Ma, fatto ancor più importante per noi, questo conflitto potrebbe far crollare la potenza che negli ultimi dieci anni ha appoggiato e supportato il potere temporale del Papa. L’ordine del giorno, nel palazzo fiorentino che ospita il Parlamento, non può che essere il seguente: Roma capitale del Regno e creazione di un corpo d’armata da inviare ai confini dello Stato Pontificio. In verità la formazione di questo esercito è un vero e proprio capolavoro di equilibrismo politico. Alla Francia dà l’impressione di truppe costituite in suo aiuto nella guerra contro la Prussia; alla Destra l’idea che ogni tipo di rivoluzione sarebbe stata stroncata e alla Sinistra l’immagine che ci si stia preparando a prendere Roma. L’incarico di comandare il corpo d’armata è assegnato al generale cattolico Cadorna (così anche i moderati sono tranquilli) e i generali aggiunti sono Bixio e Cosenz (e direi che siamo a posto anche con gli estremisti). L’ordine del giorno passa con 214 sì, 152 no e 12 astenuti. A Cadorna non resta altro che aspettare un ordine.

2 settembre 1870

Gli avvenimenti precipitano velocemente. Napoleone III è costretto alla capitolazione a Sedan di fronte alla schiacciante superiorità dell’esercito prussiano e tre giorni dopo a Parigi è decisa la deposizione dell’imperatore e la nascita della Repubblica. Visconti Venosta, il ministro degli esteri italiano, scrive al capo del Governo:

“La situazione qui in Francia è cambiata con la Repubblica. È TEMPO DI OSARE”

9 settembre 1870

Giunge a Roma, dopo un viaggio in treno da Firenze, il conte Ponza di San Martino. Il suo è l’ultimo tentativo per risolvere la questione con l’appoggio del Papa. Il conte porta con sé una lettera indirizzata a Pio IX e firmata dal Re in persona.

“Se vengo a Roma è solo per precedere Mazzini e Garibaldi. Per evitare una qualsiasi forma di rivoluzione. Il mio non è un atto ostile, ma solo un atto di politica conservatrice” (Vittorio Emanuele II)

“Bella lealtà. Non siamo profeta né figlio di profeta. Ma vi assicuriamo che a Roma non entrerete mai” (Pio IX)

(Mai dire mai).

Il conte, fallita la missione, torna a Firenze. Intanto il generale Cadorna e la sua armata sono sempre lì, ai confini con lo Stato Pontificio, che aspettano un ordine ben preciso.

12 settembre 1870

È l’alba. I soldati dell’esercito italiano levano le tende e si mettono in marcia. Diciassette battaglioni di bersaglieri, dieci brigate di fanteria, sei reggimenti di cavalleria e ottanta cannoni. Davanti a loro ponte Felice, il ponte che segna il confine tra lo Stato Pontificio (ridotto ormai al solo Lazio) e il Regno d’Italia. Si attende solo l’ordine di passaggio. 

Intanto a Roma il fervore della causa italiana si accresce. Dopo Mentana più di 500 cittadini sono sotto sorveglianza. La polizia pontificia arresta e manda in esilio. Molti studenti universitari di tendenze liberali sono espulsi. Solo i nobili, tranne alcuni casi, restano legati al potere papale dal quale traggono prestigio e privilegi. La censura è vigile e taglia in nome di Dio, della fede e della politica papalina.  

Il generale Cadorna, appostato al confine a soli 80 chilometri da Roma, alle prime luci del mattino riceve il tanto atteso ordine e entra in territorio pontificio. Sessanta mila uomini con un unico obiettivo: ROMA. 

20 settembre 1870

Alle 5:15, su ordine di Cadorna, inizia l’attacco concentrico. Il 12° e 41° bersaglieri entrano a Roma per la breccia nella cerchia delle mura aureliane, nei pressi di Porta Pia. Le truppe di Bixio issano il tricolore sul colle del Gianicolo. Dopo poche ore di cannonate il Papa issa bandiera bianca su san Pietro: la resa è arrivata. È la fine del potere temporale della Chiesa cattolica. Roma è italiana. 

Molti cittadini romani cominciano a girare per le strade armati alla meglio e con bandiere tricolori. Una folla considerevole s’avvia alle Quattro Fontane; accoglie ed accompagna con entusiasmo indescrivibile, con plausi e canti e lacrime di gioia l’esercito liberatore che occupando gli sbocchi delle vie traverse si dirige al palazzo del Quirinale.

Con la legge del 3 febbraio 1871 n. 33 fu approvato il regolamento per il trasferimento della sede del governo da Firenze a Roma. Il 2 luglio 1871 il re Vittorio Emanuele II fece il suo ingresso solenne nell’Urbe per insediarsi al Quirinale. “Roma, Roma sola deve essere la capitale d’Italia”. E ROMA, finalmente, È LA CAPITALE D’ITALIA. 

Per questo il 20 settembre, data fondante per la nostra nazione, dovrebbe tornare ad essere festa nazionale. Festa di unità nazionale. Festa di uno Stato democratico e laico. 

Di Chiara Civitarese

Immagine di copertina di Marco Bertinelli

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