Quel 16 ottobre di 80 anni fa

“È successo e quindi può succedere di nuovo”

15 OTTOBRE 1943

È venerdì sera. Un venerdì sera di pioggia. Una donna vestita di nero, tutta fradicia e trasandata, giunge correndo e ansimando nel cuore dell’ex ghetto. Non riesce a parlare per l’agitazione. Viene da Trastevere e ha appena visto, nella casa dove lavora a mezzo servizio, la moglie di un carabiniere e questa le ha detto che il marito ha visto un tedesco con in mano una lista di duecento capi famiglia ebrei da portar via con tutte le famiglie.

“Scappate, scappate. Andate via di qua. Scappate”.

Gli ebrei del ghetto sono già tutti in casa, le donne accendono la lampada sabbatica e gli anziani recitano le benedizioni. È loro abitudine chiudersi dentro e coricarsi al calare della sera. Forse la memoria del coprifuoco e della chiusura dei cancelli dell’antico ghetto è rimasta impressa nelle abitudini della comunità.

[Cum nimis absurdum, poiché è oltremodo assurdo che gli ebrei vivano in mezzo ai cristiani. Inizia così la bolla con la quale papa Paolo IV Carafa il 14 luglio del 1555 istituisce il ghetto ebraico di Roma. Un’area di circa tre ettari circondata da mura e chiusa da portoni sorvegliati da guardie. Gli ebrei potevano uscire solo durante il giorno; poi, dal tramonto all’alba successiva, i tre cancelli d’ingresso erano serrati].

In questo venerdì di pioggia le grida della donna vestita di nero attirano un po’ di ebrei.  Nessuno però le crede. Tutti al ghetto conoscono Celeste. Si sa che è una fanatica, una chiacchierona. Come si fa a dar credito a Celeste, chissà che cosa avrà capito, cosa le avranno detto.

Credetemi, scappate vi dico. Vi giuro che è la verità. Se fossi una signora e non avessi addosso questi stracci mi credereste. Scappate via”.

Quei pochi scesi ad ascoltarla risalgono nelle loro case. Di certo, pensano, Celeste avrà confuso i duecento ostaggi di Kappler con i duecento nomi di questa ipotetica lista. In fondo si sa che quella donna ha poco senno.

[“Noi tedeschi vi consideriamo come un gruppo distaccato, ma non isolato, dei peggiori nemici contro i quali stiamo combattendo. E come tali dobbiamo trattarvi. Però non sono le vostre vite e i vostri figli che vi prenderemo, se adempirete alle nostre richieste. È il vostro oro che vogliamo per dare nuove armi al nostro Paese. Entro 36 ore dovrete versarne 50 chili. Se lo verserete non vi sarà fatto del male. In caso diverso 200 tra voi saranno presi e deportati in Germania alla frontiera russa o saranno altrimenti resi innocui”. Queste le parole minacciose pronunciate il 26 settembre dal comandante della Gestapo Albert Kappler ai due più importanti esponenti dell’ebraismo romano: Ugo Foà e Dante Almansi. La taglia, raccolta dalla comunità ebraica nel tempo stabilito, fu versata alla sede delle forze di Polizia di Sicurezza tedesca a via Tasso in 10 casse da 5 chili l’una. La minaccia sembrava ormai scampata].

La memoria di quelle ore concitate, in questa serata uggiosa di venerdì, riaffiora dopo le grida di allarme di Celeste e riemerge anche il ricordo di quella strana figura con la divisa, accompagnata da una scorta di SS, apparsa il lunedì prima nei locali della comunità. Mentre i suoi uomini buttavano all’aria i libri della biblioteca del collegio rabbinico della comunità, la strana figura con la divisa, un cultore di paleografia e filologia semitica, sfiorava papiri e incunaboli, sfogliava manoscritti e rari edizioni. Lo studioso con la divisa sapeva che la biblioteca del collegio rabbinico conteneva insigni raccolte ed esemplari di eccezione. Vi erano custoditi manoscritti e cronache della diaspora nel bacino del Mediterraneo oltre che le fonti autentiche di tutta la storia degli ebrei di Roma.

[La comunità ebraica romana è la più antica d’Europa. I primi rapporti fra Roma e l’ebraismo risalgono al II secolo a.C. La presenza ebraica aumentò con l’arrivo dei prigionieri della campagna di Pompeo in Giudea e con la successiva vittoria di Vespasiano e Tito; fu quest’ultimo a distruggere il cuore della vita religiosa ebraica: il Tempio di Gerusalemme. In questa occasione, come ci ricorda lo storico Flavio Giuseppe, i romani portarono nella capitale dell’impero i tesori del Tempio distrutto, tra cui la famosa Menorah, il candelabro a sette bracci. Durante l’impero gli ebrei furono generalmente accettati come gli altri gruppi religiosi, purché non creassero confusione e problemi. Con la cristianizzazione avviata dall’imperatore Costantino gli ebrei romani iniziarono ad essere discriminati. Con l’espansione dell’Islam e della Riforma protestante iniziarono le limitazioni della libertà e furono introdotti i primi divieti fino ad arrivare al 14 luglio del 1555 e all’istituzione del ghetto].

16 OTTOBRE 1943

È appena passata la mezzanotte. Gli ebrei dormono nei loro letti quando dalle strade iniziano a sentirsi schioppettate e spari insistenti, vicini e sovrapposti. A pochi centimetri dalle persiane le pallottole si piantano nei vecchi intonaci delle case. Attraverso le persiane chiuse si vedono lungo le strade, sotto la pioggia, drappelli di soldati che sparano in aria e lanciano bombe a mano verso i marciapiedi. Dalle divise si direbbero tedeschi. Urla, schiamazzi, grida, botti. I bambini che gridano per lo spavento e gli adulti che evitano di uscire per paura di essere colpiti. Gli abitanti all’inizio pensano a un dispetto, una beffa contro di loro in piena notte. Verso le quattro del mattino la sparatoria e i botti si placano. Fa freddo e l’umidità della notte attraversa i muri delle case di via della Reginella, via del Portico d’Ottavia, piazza Costaguti, piazza delle Cinque Scole, via Catalana. Stanchi e spaventati ciascuno torna nel proprio letto per cercare di riposare, tanto fatto giorno, qualcosa dell’accaduto si sarebbe saputo. Ma verso le cinque la pace della notte è interrotta dalle grida di una donna, Letizia, detta Letizia l’occhialona:

“Dio, i mamonni, i mamonni”.

I mamonni, in gergo giudaico-romanesco, sono gli sbirri, le guardie. Infatti Letizia vede i tedeschi che con il loro passo pesante e cadenzato bloccano le case e le strade del ghetto.

“RAUS, RAUS. Uscite, uscite. IN DIE REIHE. Mettetevi in fila”. 

“All’improvviso la Piazza esplose. Sentimmo ordini in tedesco, grida, imprecazioni. Ci affacciammo alla finestra. Vedemmo i soldati tedeschi che spingevano la gente fuori dalle case e l’avviavano in lunghe file verso il Portico d’Ottavia. Scappare non si poteva, i tedeschi stavano arrivando in direzione della nostra casa. Allora papà ci fece entrare in una stanzetta e accostò la porta, ordinandoci di stare nel silenzio più assoluto; poi andò ad aprire la porta di casa lasciandola spalancata. Penseranno che siamo scappati, disse piano, tornando. Forse ce l’avremmo fatta. Ma Giuditta, mia sorella, perse la testa quando udì i passi dei tedeschi per le scale. Scappò via, si diresse proprio verso i soldati. Se li trovò davanti, si voltò e tornò da noi. Così ce li portò lì, dove stavamo nascosti. Ci fecero uscire dalla stanza, ci dettero un biglietto di istruzioni: avevamo venti minuti per prepararci e prendere con noi oro, gioielli e cibo per otto giorni di viaggio. Cominciammo a raccogliere quel po’ di cibo che c’era in casa. Uscimmo in mezzo ai tedeschi. Ci misero in fila con i nostri vicini e ci spinsero verso il Portico d’Ottavia. Fummo ammassati con tutti gli altri davanti a sant’Angelo in Pescheria. I camion grigi arrivavano, i tedeschi caricavano a spintoni o col calcio del fucile uomini, donne, bambini e anche vecchi e malati”. (Settimia Spizzichino).

Dal ghetto i camion sono diretti verso il Collegio Militare di via della Lungara. Da lì 1022 persone, uomini, donne, bambini, anziani e malati, sono portati alla stazione Tiburtina e ammassati su un convoglio di carri blindati in partenza al binario 1. Destinazione campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau.

Di 1022 tornarono vive solo 16 persone, 15 uomini e una donna: Settimia Spizzichino.

Il mondo non può dimenticare, il mondo deve sapere. È successo e quindi può succedere di nuovo. E io non posso che ricordare e raccontare quanto è accaduto.

Di Chiara Civitarese

Immagine di copertina di Marco Bertinelli

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